Un Recuerdo Muy Especial!!!

Un recuerdo Muy Especial !!!

2008 - 13 de octubre - 2016


Recordemos en este Sitio muy especialmente a nuestros hermanos que ya partieron para la "Casa del Padre".

Siempre recordaremos sus sonrisas, el buen humor, "las pescas", "los asados", el amor a Dios y el compromiso constante con el hermano necesitado.

Estamos seguros que desde el Cielo ellos interceden ante Dios por cada uno de nosotros, que caminamos esperanzados en encontranos nuevamente para compartir tantos momentos inolvidables.


... German Merlino, Eldo Yoris y Silvio Bejarano ...

Hasta siempre Hermanos!!!!!


miércoles, 22 de diciembre de 2010

Carta del Casante por la Navidad!!!

San Zeno in Monte, 24 Dicembre 2010

“… Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo …”(
Lc. 2,6-7).

Carissimi Fratelli e Sorelle dell’Opera,

la pace e l’amore del Signore Gesù siano e rimangano sempre nei nostri cuori.

Siamo prossimi a celebrare il grande mistero della nostra salvezza nella festa liturgica del Santo Natale. Meditiamo le parole del Vangelo di San Luca che ci racconta l’evento più importante della storia dell’umanità, la nascita del Figlio di Dio, con parole semplici che lasciano sconcertati: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo”.

Nel respiro di una notte intensa, limpida e buia arriva la luce eterna, la Parola nel gemito di un bimbo frutto dell’amore infinito di Dio. La Madre, piena di Grazia, lo accoglie, lo avvolge in fasce e, prima di metterlo nella mangiatoia, lo riscalda nelle sue braccia con amore e tenerezza. Colui che sarà la fonte della vita, l’acqua che stilla per la vita eterna, s’incarna in un piccolo corpo in una mangiatoia, Colui che diventerà pane spezzato per essere mangiato e dare la vita a tutta l’umanità.

L’evento più importante della storia, il Dio con noi lo troviamo nell’umiltà e precarietà di un presepe, nella semplicità di una mangiatoia. Non è nato in un palazzo o nella ricchezza; è nato nella povertà estrema e nell’umiltà perché ogni cuore per piccolo che sia possa riceverlo. L’unica cosa fondamentale che dobbiamo fare è sostare in silenzio, sospendere il nostro fare di tutti i giorni, guardare con stupore e aprire i nostri cuori per accogliere il Dio che viene, per discernere ciò che è essenziale nella nostra vita. Ci commuove questo grande mistero di un Dio che si fa piccolo, debole, per entrare nei nostri cuori ed essere al centro della nostra vita.

Nell’invito recente a tutta la famiglia Calabriana con la mia lettera “Il Discernimento … sintonizzarsi con il cuore di Dio”, ho messo in evidenza quanto è importante cercare l’essenziale, cercare Dio facendo di Lui il centro della nostra esistenza. Il discernimento è lo stile di relazione con Dio che si rivela a noi come amore, e che ci chiama sempre ad una vita centrata in Lui. Nella semplicità e nell’umiltà il presepe mi rivela la mia identità e mi ricorda che il motivo per il quale sono stato creato è l’unità con Dio. Unità che si realizza vivendo la vita di Dio in me un Dio che si rivela come Padre nel suo Figlio amato e ci chiama a vivere questa figliolanza cominciata il giorno del nostro Battesimo. Attingiamo a questa che è la fonte della nostra vita!

Il nostro Natale deve essere vissuto nella continua ricerca della centralità ed essenzialità della nostra vita. Guardiamo il presepe, la mangiatoia e impariamo la lezione straordinaria del Figlio di Dio che attende di nascere in noi. C’è spazio per Lui nel mio cuore, nel tuo cuore …? Ricordiamo le parole di don Calabria per capire il senso profondo del Natale:

“… un Dio che si fa uomo! Sarebbe stato un'umiliazione, vestire la natura angelica, ma no, la nostra natura! Si fa uomo e fra gli uomini, sceglie la condizione più povera, più vile, più abbietta! Gesù Benedetto, il Verbo Eterno, non potendo prendere il peccato, ne piglia l'immagine: la circoncisione, il battesimo, durante la sua passione ha il sentimento dell'uomo peccatore; tutta la sua vita ci dice della sua umiltà. Fratelli, osserviamo: nella sua nascita, sceglie una stalla; per culla, una man¬giatoia; trent'anni di vita nascosta, oscura, in un povero mestiere, guadagnando così il pane col sudore della sua fronte. Fratelli, e tutto questo ha fatto, il Verbo di Dio, per nostro esempio, perché lo avessimo ad imitare”. (CONF. - ESORT. * 5608 ESORTAZIONE PER L'IMMACOLATA E IL S. NATALE – 1928).
“Gesù è Dio e per conseguenza, Signore assoluto del cielo e della terra, ma per dare a noi lezione, ecco che nella sua nascita nasconde ogni splendore della sua grandezza e comparisce tra noi sotto le sembianze di povero Bambinello. Fratelli, ravvisiamo in questo momento la nostra fede e poi diciamo: il Signore abita nel più alto dei cieli e ora in una stalla, in una mangiatoia. Là nel bel Paradiso, corteggiato dagli Angeli, qui da pochi pastorelli, colla compagnia di due vili animali, ma perché così Signore? Perché insegnate la santa umiltà. Concepiamo, o miei fratelli, una stima grande per questa virtù, vedendola così bene patente nel nostro divin Maestro. Oh, siamo umili, ma veramente umili! Umili nelle nostre parole, umili nel tratto, umili all'esterno, umili nell'interno … Ah, non partiamo dalla culla del divino Infante senza rimediarci, senza renderci umili. Quanti argomenti non abbiamo in noi stessi per persuaderci di questa virtù?” (VANG. FEST. * 10735 25-12-1902 DISCORSO DEL SANTO NATALE)

Con queste parole e riflessioni vorrei manifestare i miei sinceri e affettuosi auguri a tutti voi per il Santo Natale. Vi giunga il mio augurio affinché ognuno di noi, le nostre famiglie, l’Opera tutta diventino una piccola grotta, una mangiatoia capace di accogliere nell’umiltà, nell’interiorità e nel silenzio il Gesù che viene. In questo Natale il nostro cuore sia un luogo semplice e disponibile ad accogliere Gesù, uno spazio d’incontro perenne con Lui. Sia questo il Natale dell’interiorità e dell’essenzialità senza perderci in tante altre cose che possono essere anche utili ma non necessarie. Riscopriamo la nostra identità di figli nel Figlio che nasce per noi ogni momento della nostra vita.

Siamo ormai alla fine dell’anno e sento nascere dal profondo del mio cuore la riconoscenza e il ringraziamento al Signore per tutti i benefici ricevuti quest’anno, per la Provvidenza materna con cui ci ha guidato e per non averci lasciati soli soprattutto nelle difficoltà proprie di ogni giorno. Aprirsi all’ascolto della Parola e vivere questo mistero è riconoscere ciò che Dio fa e manifesta nella nostra vita per ringraziarLo e approfondire e vivere ancora di più il Suo amore nei nostri cuori.

Incoraggio tutti a camminare secondo le indicazioni dello Spirito per far sì che il discernimento diventi il nostro “habitus” quotidiano, per vivere radicalmente la nostra vita cristiana e consacrata diventando così più significativi per il mondo d’oggi con la santità della nostra vita.

Maria Santissima, Lei che ha accolto Gesù con tanto amore nelle sue braccia e ha preparato la mangiatoia per Lui, ci aiuti a preparare i nostri cuori ad accogliere la luce e la vita nuova che nasce con Lui.

Buono e Santo Natale a tutti voi e auguri di un prospero anno nuovo con il desiderio profondo di unirci sempre di più al cuore di Dio.

Vi benedico e ricordo nelle mie preghiere con grande affetto.


P. Miguel Tofful

El miedo a la Humanidad


José María Castillo, teólogo

No hablo de males y catástrofes, que ya tenemos bastantes. Y bastante hablamos de nuestras desgracias. Mejor nos iría si tuviéramos una visión positiva y esperanzadora de la vida y de las cosas. Por eso hoy, en vísperas de Navidad, propongo que pensemos en el daño que a todos nos hace el miedo que le tenemos a nuestra propia humanidad.

Porque estoy persuadido de que, en ese miedo, está la explicación y la raíz de tantas torpezas y maldades que se podrían y se tendrían que evitar.

Vamos a ver. Desde la nochebuena hasta el día de reyes, los cristianos recordamos una serie de episodios en los que no resulta fácil precisar lo que hay de leyenda y lo que hay de verdad en esos relatos. Los estudiosos se rompen la cabeza intentado descifrar cada detalle y no acaban de ponerse de acuerdo. Pero, en todo caso, lo que hay de cierto (para un cristiano) en los evangelios de la infancia (Mt 1-2; Lc 1-2), es que “lo divino” (Dios, en definitiva) se dio a conocer, se hizo presente y se manifestó en “lo humano”.

Y precisamente en lo más humano: un niño, de condición humilde y en circunstancias de despojo, desamparo y persecución a muerte. Por supuesto, como es bien sabido, la historicidad de esos hechos está cuestionada desde no pocos puntos de vista y en muchos de sus detalles. Pero eso es lo que menos importa en este momento. No olvidemos que los evangelios no son primordialmente “libros de historia”, sino que en ellos se nos ofrece un “mensaje religioso”. Y eso es lo que al creyente le interesa. O eso es lo que le debe interesar.

Ahora bien, el “mensaje religioso” de los evangelios de la infancia es tozudamente claro y provocador. Es el mensaje que nos dice esto: “lo divino” se encuentra en “lo humano”. En lo más humano, es decir, en lo débil, en lo marginal, en los excluido y hasta en lo perseguido. “Lo divino” no se hizo presente en lo portentoso, en lo milagroso, en lo sobrecogedor, como le pasó a Moisés en la zarza ardiendo o en el monte Sinaí. “Lo divino” se hizo presente en un niño, en un establo, entre basura y animales.

Y fue anunciado a pastores, uno de los oficios marginales de aquel tiempo. Y hasta el rey, informado por los sacerdotes, decidió matarlo. Así fue cómo “lo divino” tuvo que hacerse emigrante. Porque “lo divino”, que se hace presente en “lo humano”, no tiene “papeles”. Es verdad que al niño lo circuncidaron (Lc 2, 21), como se hacía con todos los humanos de aquella cultura. Y lo llevaron al templo (Lc 2, 22-23), como también se hacía entonces con todos los humanos. Pero queda en pie que, según los evangelios de la Navidad, “lo divino” se hace presente, se comunica, se da, en algo tan humano, tan débil, tan entrañable, que se encuentra “un niño envuelto en pañales y acostado en un pesebre” (Lc 2, 12).

El Evangelio tiene algo muy fuerte, muy duro, que no nos cabe en la cabeza. A partir de la primera Navidad, que hubo en la historia, a Dios no se le encuentra ya en lo fuerte, sino en lo débil. No se le encuentra en lo grande, sino en lo insignificante. No se le encuentra en lo grandioso y lo notable, sino en lo que no pinta nada para nadie.

No se trata de que el Evangelio representa un proyecto nihilista, inhumano. Se trata exactamente de todo lo contrario. El Evangelio es la afirmación más sublime de lo humano. Porque es evidente que quienes conocieron a Jesús, lo que vieron y palparon en él fue a un ser humano. Entonces, ¿por qué, desde antes de nacer y en su nacimiento, intervinieron los ángeles y la fuerza del Espíritu. Y todo eso, además, envuelto en sueños, apariciones, enigmas y manifestaciones de lo extraordinario y lo celestial? Porque había que vencer nuestra pertinaz resistencia para aceptar que, desde el momento en que Jesús vino a este mundo, a Dios lo encontramos en nuestra propia humanidad.

Pero resulta que esto es lo que no nos cabe en la cabeza a los humanos. Nos gusta lo grande, lo importante, lo notable, lo solemne, lo que impresiona y llama la atención, lo que se impone y admira… Todo eso y lo que se parece a eso. Pero, ¿y lo que no es ni más ni menos que humano? ¿lo que es común con todos los humanos? Pues eso, precisamente eso, que es lo que tantas veces menos valoramos, eso es lo que más necesitamos. Porque es lo que más nos humaniza. Y lo que más humaniza la vida, la convivencia, la sociedad. A todos nos “educan” para ser importantes, pero no para ser sencillamente humanos.

De ahí, la consecuencia más peligrosa y más patética que todos arrastramos. Nos seduce el poder. Nos seduce la gloria. Queremos, a toda costa, ser importantes, destacar, ser notables. Confieso públicamente que a mí, por lo menos, todo eso me atrae, me agrada y es motivo de anhelos inconfesables. Anhelos y deseos que, cuando soy sincero conmigo mismo, los maldigo mil veces. Porque estos sentimientos me rompen por dentro y destrozan mi propia humanidad.

Esta “civilización” (?), esta “cultura” (?), en que vivimos, ha hecho con nosotros lo peor que se podía hacer. Nos ha inoculado el miedo a nuestra propia humanidad. Tiene razón el viejo mito del paraíso perdido: la tentación satánica, que a todos nos acosa, es el deseo de “ser como Dios” (Gen 3, 5). Estoy harto de ver “ateos” (y no digamos “creyentes”) que se pasan la vida aspirando a ser “como Dios”. No sé si lo consiguen. Lo que sí sé es que somos muchos los que, a fuerza de tanto querer alcanzar a ser “divinos”, hemos dejado de ser verdaderamente “humanos”.

Tanta falsa apetencia de “divinidad” ha hecho trizas nuestra propia “humanidad”. Y además, si pensamos en lo que ha ocurrido en el ámbito de las creencias y en el terreno propio de la teología, lo que ha pasado es que “lo divino” se ha distanciado tanto de “lo humano”, que ha llegado a entrar en conflicto con las mejores manifestaciones de nuestra propia humanidad. Baste pensar en los constantes enfrentamientos entre los presuntos derechos de lo divino y los derechos humanos.

Por no hablar del destrozo que estas ideas han causando en el estudio propio de la cristología. Da pena pensar en que no pocos jerarcas de la Iglesia ponen el grito en el cielo si oyen decir que Jesús fue, no solamente humano, sino que es el modelo perfecto de la plenitud humana. Ser representantes del poder divino, que les da rango y poder, les encanta. Ser ejemplos de humanidad, eso es otro cantar.


Interesante: ver
http://josemariacastillo.blogspot.com/



P. "Yiyo" Brach